“Sì, ma quando giocavo io era tutta un’altra cosa, quello sì che era Rugby con la R maiuscola, altro che quello di adesso, quello sì era uno sport duro per uomini duri….”
Così spesso sento parlare molti cui sembra di essere stati gli unici ad aver fatto qualcosa di buono. Danno sempre l’impressione che le stagioni che hanno vissuto loro siano state le migliori in assoluto e che il prima e il dopo non esistano o quasi, mentre il mondo esisteva già da prima e continua tuttora, basta rendersi conto che siamo solo delle piccole meteore di passaggio: prima c’ero io, ora c’è qualcun altro che non è migliore o peggiore di me, sta solo vivendo il suo momento. Tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile.
Il rugby nel tempo è molto cambiato e sono cambiate le regole, i metodi d’insegnamento e di allenamento si sono evoluti sia tecnicamente che tatticamente, la strategia è diventata una scienza importante che a volte fa la differenza, sono cambiati anche i giocatori, basti pensare che negli ultimi 15 anni la statura media si è alzata di circa 10cm. Ma io sono straconvinto che quello che rende un giocatore/uomo più forte è l’essere “mentalmente forte”.
Il rugby oggi è molto dinamico, i giocatori sono molto veloci oltre che potenti ed esplosivi. Il regolamento porta a giocare un rugby sempre più spettacolare fatto di alte velocità alternate a punti d’incontro altrettanto veloci.
La mischia è il reparto più avanzato della squadra, ed è specializzata nella conquista del pallone; i piloni e i tallonatori di 110/120 kg e oltre, non si limitano più a far solo mischie, touche, ruck e maul, ma giocano a tutto campo come tutti gli altri. Le seconde linee che a volte (spesso) superano i due metri di altezza, non conquistano solamente la palla nelle rimesse laterali, ma placcano danno sostegno e partecipano nelle fasi di gioco aperto come il resto della squadra. Non parliamo poi del N8 e delle terze linee, giocatori a 360° a tutti gli effetti: sono per me i più completi e polivalenti, sanno (o dovrebbero sapere) sia conquistare la palla in mischia chiusa e in touche, che giocare e muoversi nello sviluppo del gioco difensivo e offensivo, fondamentale poi il mantenimento del possesso del pallone nei punti d’incontro.
I ¾ sono invece le retrovie, quelli veloci, “un po' fighetti” li ha descritti Paolini, quelli insomma che si occupano principalmente dello sviluppo del gioco; i mediani di mischia e apertura sono il “cervello” della squadra, il 90% del gioco passa per le loro mani e piedi, sono dinamici e con un’ottima tecnica di passaggio e di calcio, ma soprattutto devono avere una buona visione di gioco per smistare i palloni ai centri e alle ali nei tempi e modi più efficaci e far sì che questi possano creare dei varchi nella difesa avversaria e andare poi in meta. I centri sono dotati di potenza ed esplosività, con veloci accelerazioni nei brevi spazi e usano gli appoggi per fare delle finte di fronte all’avversario e cercare di superare la prima linea di difesa. Ali ed estremo sono i più veloci, di solito, ma non sono così piccoli e leggeri come potrebbe sembrare in TV, ma sono omoni di un metro e ottanta/novanta e corrono i 100m in 11'' e non si limitano a muoversi avanti ed indietro vicino alla linea laterale di fuori campo, ma si “inseriscono” in ogni fase di gioco per creare superiorità numeriche nel senso del gioco e sono sempre una spina nel fianco per la difesa avversaria.
In una partita attuale di alto livello si contano circa 15 mischie chiuse, a differenza di 20/30 anni fa quando se ne facevano più di trenta. Le rimesse laterali si sono ridotte da cinquanta a venti, ma sono cresciuti a dismisura i punti d’incontro nello sviluppo del gioco, da 50/60 a oltre 150/160. Segno questo della volontà e capacità di giocare la palla in modo più dinamico, veloce e spettacolare senza passare attraverso fasi statiche di conquista.
A volte mi chiedo dove andremo a finire di questo passo.
Sappiamo però da dove siamo arrivati.
Il rugby in Italia è stato importato tra fine '800 e primi '900. Secondo alcune recenti indagini sembra che la prima partita dimostrativa si svolse a Milano il 2 Aprile del 1911, con la squadra di casa, l’U.S. Milanese, che affrontò i francesi del Voiron. Qualche mese dopo, il 25 Luglio fu costituita la “Commissione Propaganda” che aveva il compito di divulgare questo nuovo sport ed organizzare eventuali partite e tornei. Il 28 Settembre del 1928 venne fondata la F.I.R., Federazione Italiana Rugby; nell'anno successivo, 1929, si giocò il primo campionato italiano di rugby, e vi parteciparono 6 Club.
Si dice che il Rugby abbia origini nobili: per questo il rispetto delle regole e degli avversari è considerato un valore fondamentale.
Oscar Wilde disse questa frase celebre: “Il calcio è uno sport da gentiluomini giocato da bestie, mentre il Rugby è uno sport da bestie giocato da gentiluomini”.
Ma come è nato il rugby?
…era una grigia giornata d’autunno, quando in un College inglese nel Warwickshire durante una partita di pallone, stanco di esser preso in giro perché non era molto portato per quella disciplina, un giovanotto, tra gli sguardi sbigottiti degli avversari e le facce incredule dei compagni di squadra, prese in mano il pallone e percorse a tutta velocità tutto il campo da gioco depositandolo nell’area di porta avversaria e gridò “TRY”. Sembra che quella sia stata la prima meta della storia.
A noi rugbisti piace pensare che il rugby sia nato col cuore e con il coraggio di andare contro le regole e non sui fogli o nelle menti di alcuni anonimi studenti.
A me piace immaginarlo un ragazzo mingherlino, capelli biondo-rossicci sempre spettinati e che a ciocche gli cadevano sul viso con grandi occhi chiari e la pelle bianca con qualche lentiggine che lo rendeva più brutto di quello che in realtà era. Un tipo solitario, ma non scortese, taciturno ma sapeva parlare se c’era da dire qualcosa, uno che passava inosservato in mezzo alla gente ma che gli amici cercavano se avevano bisogno di un consiglio, uno che alla Festa del Paese preferiva una gita in solitario al fiume, alla Santa Messa della domenica preferiva cavalcare coi capelli al vento per i boschi nelle campagne dell’entroterra inglese. Schivo sì ma non sgarbato, sempre con i vestiti fuori moda ma non sporco o volgare, un po’ mascalzone ma tutt'altro che cattivo. Uno insomma un po’ anarchico che difficilmente accettava regole ed imposizioni, uno che viveva la vita minuto per minuto, giorno per giorno, uno che, quando scriveva, la grafia non gli stava mai dentro le righe.
Frequentò dal 1816 al 1825 la Public School della sua cittadina che si trova a un’ottantina di miglia a nord-ovest di Londra, che si chiama, appunto, Rugby e che diede poi il nome a questo sport. A Lui è anche intitolato il trofeo dalla coppa del mondo.
Era il secondo di due figli maschi, nacque a Salford, Manchester, nel nord Inghilterra il 24 Novembre del 1806 e morì a Mentone in Francia il 24 Gennaio del 1872, dove si trova tuttora la sua tomba.
Suo padre, James Ellis, era un ufficiale dei Dragoni della Guardia, mentre sua madre si chiamava Ann Webb, di origini irlandesi.
Quasi duecento anni sono trascorsi da quella prima pazza corsa con il pallone tra le mani e tante cose sono cambiate, tanta acqua è passata sotto i ponti, ma la voglia di giocare, di divertirsi, di misurarsi con se stessi e con gli altri, di condividere i propri sentimenti e stati d’animo con gli Amici rimane.
Per me lo sport ed in particolare il Rugby, non è solo un qualcosa di fisico.
Correva l’anno 1823, lui si chiamava William Webb Ellis.