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16/03/2012, 14:41

FIAT 850, primo amore!

di Joseph Rossetto

Dicono che il primo amore non si scorda mai... Se è per questo neanche il primo incidente. A quei tempi (parliamo del lontano Giugno1979) presi finalmente l'agognata patente di guida. Quiz e test passati brillantemente ed esame di guida superato con non poco stupore del mio istruttore. Appena uscito dall'autoscuola mi precipitai all'acquisto della prima autovettura. Una splendida Fiat 850 di dieci anni almeno e di color “blu pallidino”; prezzo concordato dopo estenuanti trattative: cinquantamila lire. Prezzo del passaggio di proprietà sessantamila, e dopo una settimana ho dovuto sostituire la batteria... Come noterete è stato un vero affare. In quel periodo, avendo da poco una morosa, confidavo nel fatto di essere automunito, che secondo me poteva sicuramente favorire un consolidamento del rapporto. Dopo breve tempo ed alcuni viaggi in macchina al mio fianco, mi lasciò per un periodo di riflessione, periodo che dura ancora nel tempo. Come vedete, l'auto non è tutto nella vita e non risolve certi problemi di coppia, anzi, alle volte li peggiora.

Passata l'estate, tornammo ad allenarci e così venne quel fatidico venerdì notte. Era una serata di fine settembre, e faceva ancora abbastanza caldo per quel periodo. Dopo l'allenamento andammo a mangiare qualcosina, e dopo aver visitato diversi locali, arrivò mezzanotte abbastanza velocemente. Tamba, in quel periodo era militare in Sud Tirol e arrivava a casa in licenza verso mezzanotte; pensava, dopo un lungo viaggio in treno, di poter finalmente dormire beatamente tra le mura domestiche. Ma mai fare i conti senza l'oste... specie se ti serve da bere. Dopo l'ultimo goccio all'attuale Bar Commercio, io, Sandro, Walter e Zane decidemmo di raggiungere Tamba a casa sua per bere l'ultimo, si fa per dire, bicchiere. Sono passati tanti anni e non riesco ancora a capire cosa può contenere il famigerato  «ultimo bicchiere» per farti così male. Zane partì dalla piazza con la sua mitica 128, una fuoriserie per quell’epoca, noi tre partimmo con la mia 850; motore e trazione posteriore, neo patentato alla guida visibilmente alterato. Probabilità d'incidente stimato 102 % e le quote scommesse ci davano 1 a 1,01. Andò così: il vecchio piazzale del Foro Boario a quell’epoca aveva tre entrate, di cui due sullo stesso lato, rivolto verso la piazza Grande, divise tra loro da un muro di cemento armato con terrapieno. Arrivato nei pressi del piazzale, fui colto da un attimino di indecisione su quale delle due strade prendere. La domanda che dobbiamo porci adesso è: nella vita è meglio avere dei rimorsi o dei rimpianti? Nel mio caso specifico non cambia un cazzo! Ancora oggi ho il rimorso di aver preso la prima entrata… e il rimpianto per non aver preso la seconda! Entrai all'ultimo secondo nella prima via, così erano almeno le mie intenzioni, ma la manovra temeraria produsse conseguenze terribili. Centrai in pieno il muro di cemento armato con tale precisione da far invidia ad un missile termico teleguidato. Il fragore delle lamiere che si sventravano svegliò mezza Oderzo, il motore si spense, ed io nel riaccenderlo con la marcia inserita, colpii il muro un'altra volta, distruggendo così quel poco che era rimasto. Al secondo impatto si svegliò l'altra metà di Oderzo, dopo... solo un grande silenzio tra le lamiere contorte. Il pallore dal volto di Sandro e Walter illuminava l'interno della macchina come un riflettore dello stadio Meazza ed io sentivo un gran dolore al cranio oltre ad avere la vista annebbiata da una cosa liquida che mi colava dalla fronte. Sangue... e parecchio anche. Anche Walter si era procurato un piccolo taglio (entrambi ci eravamo feriti andando a cozzare sul parasole dell’850), ma in preda allo shock da incidente continuava a ripetere all'infinito “Andè a ciamar aiuto!” Io non lo badai per niente perché la preoccupazione mia più grande era, non lo squarcio che avevo in testa, ma quella di spostare la macchina. Così, quando Zane ci raggiunse sulla scena del delitto, poté osservare quanto segue: un ammasso di rottami fumanti spinti con veemenza da un energumeno sanguinante ed imprecante.

Allora: è scientifico che sotto sforzo lo scorrere del sangue in un corpo umano aumenta di velocità. Così, ad ogni passo che facevo nello spostare la macchina (non chiedetemi come facevo) dalla ferita in testa fuoriusciva un getto di sangue simile ad un geyser. Alla fine, spostata la macchina alla bell'e meglio, raggiungemmo casa Tamba per valutare meglio i danni fisici; Walter nel frattempo continuava con la nenia: “Andè a ciamar aiuto!” Entrai in casa, mi recai in bagno per i primi soccorsi, e Tamba nel frattempo seguendo alla lettera il manuale del pronto soccorso della Croce Rossa, aprì una bottiglia di rosso, colore che si sposò a meraviglia con il mio stato. Zane dopo avermi pulito sommariamente, prendendo in mano una ciocca di capelli (allora ne avevo) mi alzò il cuoio capelluto come si alza uno zerbino, constatò il danno, ripose lo “zerbino” insanguinato al suo posto e sentenziò: “E' meglio che andiamo in ospedale.” Intanto però, il sangue continuava a fuoriuscire copiosamente, ed in breve il bagno di casa Tamba fu trasformato in un mattatoio, ovvero uno scenario tratto dal film “Nightmare”.

Mi misi un asciugamano in testa modello turbante Gran Sultano e raggiungemmo il pronto soccorso dell'ospedale, che era poco lontano. Dopo un po’ d'attesa arrivò il medico chirurgo di turno con una faccia disgustata, per non dire di merda. Capisco che tra una cosa e l'altra erano quasi le due di notte, ma una faccia così assonata non l'avevo mai vista e la cosa mi preoccupò un tantino. I miei timori erano fondati: il medico era talmente inebetito che mi dette tanti di quei punti da riempire una raccolta premi della Coop; ne sarebbe bastata la quinta parte. Per completare l'opera, dopo avermi medicato a lungo (oggi nello stesso tempo eseguono un trapianto al fegato) mi mise in capo una specie di rete per contenere la medicazione. Ma o la reticella era un “tantino” stretta, o ero io che avevo la testa fuori misura: tant'è che dopo cinque minuti la faccia cominciò a gonfiarsi, e con i minuti che passavano, assomigliavo sempre più ad un insaccato nostrano di puro suino allevato a terra.

Non mi ricordo chi mi accompagnò a casa, forse Zane, forse Sandro, forse Tamba, o forse tutti tre insieme, ma non ha importanza, grazie lo stesso. Arrivato nel cortile di casa, mi accinsi ad entrare, ma mia madre non sentendo il caratteristico rombo dell’850, si alzò dal letto con un presentimento nefasto; quando vide l'uomo “salame” entrare in casa, quasi svenne dalla paura, ma dopo un po' si riprese perché negli anni l'avevo allenata bene a certi shock, avendone combinate parecchie. Negli anni che seguirono misi a dura prova le sue coronarie, perché i miei incidenti automobilistici erano appena ai primi albori ma molti altri ne seguirono; essendo però una donna di una fibra eccezionale, sopravvisse a tutto quello che riuscivo a combinare. Finì così, dopo neanche 3 mesi, l'avventura del mio primo bolide, la mitica 850; in seguito ne comprai altre due, il cui destino fu molto simile, se non addirittura peggio. Donne e motori, gioie e dolori, così almeno dicono. Per quanto concerne le gioie, si potrebbe aprire un lungo dibattito; per quanto riguarda i dolori, avendo incontrato sulla mia strada un muro di cemento armato, potrei fare sicuramente da testimonial.

 

Ultima modifica: 19/03/2012 alle 12:12

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